del cluster di lavori che vado principiando oggi già si comprende l’esito innato di fottermi con foga il cranio: per le macchine, al ritmo delle stesse e per dannare simili cristi ad acquistare tanta e altra merda a seppellirli interi c’è poco da aspettarsi, e apro il taccuino solo per tirare fiato: il velo pietoso cala sui lemmi che m’evito di vergare, sui cogiti a turbine che stanno per crepare la struttura, sulla cena che sfrigola solinga in forno, il mix d’Indira Paganotto suonato dieci anni prima per Tunnel FM a volume troppo basso per 11:36 netti, e poi, basta pure quello.

dopo la prima ondata di covid, quasi a fine intervista, le viene chiesto buona parte del tuo lavoro si occupa della sorveglianza dei nostri corpi e delle nostre menti. che consiglio hai da dare a quelli che dicono di non avere nulla da nascondere? la mia nuova eroina, Anne Boyer, risponde così:

Se non avete nulla da nascondere, vi consiglio di trovare al più presto qualcosa da tener nascosto. Procuratevi quanti più segreti potete. Siate come sfingi o anarchici del 19° secolo. Non trascurate il fascino di parole quali enigma e clandestino!

spengo la cassa peraltro tentato di chiudere qui la cronaca. le mie tante entità sinonimiche, in questi oltre vent’anni d’inferno in rete, hanno sempre adottato maschere e bavagli. le peggiori sono le più note, quelle che portano nei pressi il nome intero o una sensibile riduzione dello stesso al garbo del cognome cifrato con un’iniziale puntata: dov’anche il volto non è celato dall’ombra o la posa contrita s’erge lo sguardo diretto e la parete del cranio a celare il salammbô di veli sacri e orge e sacrifici umani alle velocità irrintracciabili di folgori e baleni, i mille tumuli dei sé morti arrampicati per avvicinarsi ancora di un passo al cielo. da un certo punto di vista, alla fine, qualsiasi condizione dista dalla propria più evidente allegoria quanto i razzi segnaletici delle sinapsi hanno imboccato da tempo sentieri imprevedibili con esiti inusitati illuminando la salva di scorci inauditi e noti soltanto al povero idiota che dal di sopra lieto li fluttua deltaplanando. di questi scorci si compone tra l’altro l’unico vero tesoro.

sul blog, quello privato che raccoglie tutti gli altri e che di tanto in tanto emerge in fame d’aria come una talpa fasulla a prendersi le martellate in cranio, al 2 gennaio 2022, in fase discendente delle note di lettura, avevo appuntato:

è così che la immagino: una palla gigantesca di consapevolezza luminosa motivata da compassione altamente intelligente che si sta di fatto avvicinando alla Terra: Andrés Gómez Emilsson, ricercatore neobuddista transumano delle proprietà computazionali della coscienza e autore di qualiacomputing.com, vista la data probabilmente fulminato sulla via dall’ingresso di Giove in Pesci, lancia il perfetto anti-basilisco di Roko. l’aver letto queste righe vi rende complici dell’avvento di Barbelith. la sola possibilità rimasta, come spesso accade, è scegliere con quale obiettivo in mente giocare;

un paio di giorni fa sempre Andrés ha scritto che il motivo per cui Avalokiteshvara e altri Deva di alto livello o non rispondono mai ai richiami o in genere ci mettono di più di quanto ci si aspetta è che passano tutto il tempo a mettersi alla pari con le mail inevase, e ogni mattina la posta in entrata di Avalokiteshvara contiene 100.000 mail da leggere. ho veduto opportuno offrire qualche altra ipotesi:

la sofferenza che stiamo chiedendo di alleviare è così connessa a mille miliardi di altre sofferenze che ci vuole più tempo del previsto per percepire la sua risoluzione.

oppure, anche se il ping di risposta è istantaneo, l’esser goffi macchinari impaludati a computare poco altro che sofferenza c’impedisce di vedere che è la nostra casella di posta ad essere piena, e in buona parte essa stessa una cartella dello spam

questo in fiducia che i loro corpi da milioni di braccia non abbiano problemi a gestire cataste di caselle della posta torreggianti quanto interi cosmi, mentre noi, coi nostri calcolatori tascabili a cinque sensi, di tanto in tanto difficoltà ne abbiamo :)

l’altro libro che non scriverò, per restare in tema, è la cronistoria di come le cose siano andate cambiando realizzata trascrivendo ogni minimo indizio captato a riguardo. i miei cartelloni di clip alla fine non hanno altro scopo che questo, e mi confondo a pensare che le cose in ultimo non vadano cambiando solo per la mia tossica abitudine di richiamarli a casaccio col tiro del dado. un dì un’iterazione successiva avrà la pazienza, l’ampiezza di gamma e di banda per sedersi mite una decina di meriggi a ripercorrere il tutto dall’inizio, tralasciando il rumore di fondo, il riflesso dalle istanze di finestre di Overton che nel corso s’avvicendano, e nel momento in cui palesemente emergerà l’arrivo, l’arrivo stesso sarà ultimato.